(english below)
Sui media di tutto il mondo oggi è stata lanciata la notizia che Israele ha deliberato delle “pause tattiche” per far entrare aiuti a Gaza. Diffondiamo questa presa di posizione dell’organismo dei soldati veterani israeliani “Breaking the silence” che invita a guardare alle azioni effettive dell’IDF e del governo israeliano, che con questa decisione non hanno cambiato politica e continuano, anche oggi, nell’uccisione deliberata di palestinesi in cerca di qualcosa con cui sfamarsi. Una voce da Israele importante, da far conoscere. Centro di documentazione contro la guerra
Non ascoltate le loro parole, guardate le loro azioni
Oggi, l’IDF ha annunciato “pause umanitarie” quotidiane e ha ripreso i lanci aerei di aiuti a Gaza. Ma non si tratta di un reale mutamento di politica. È semplicemente l’ultima manifestazione di una logica contorta che sfrutta il cibo come mezzo di controllo, non con l’intenzione reale di distribuire gli aiuti. Un’ analisi approfondita di ciò che sta accadendo sul campo smaschera la vera agenda in gioco.
All’inizio del mese, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha svelato il piano del governo di concentrare con la forza l’intera popolazione di Gaza in una cosiddetta “città umanitaria” costruita sulle rovine di Rafah. Nel complesso, queste azioni militari e decisioni politiche rappresentano due facce della stessa strategia che sta delineando il futuro di Gaza e realizzando il sogno ultimo della destra israeliana di fare la pulizia etnica di tutta la popolazione palestinese di Gaza.
Le uniche persone che potranno lasciare questa “città umanitaria” lo faranno tramite meccanismi istituiti per incoraggiare l’“emigrazione volontaria”. Un altro eufemismo che si è fatto largo nel linguaggio corrente. I termini “città umanitaria” ed “emigrazione volontaria” sono tentativi deliberati di usare il linguaggio per mascherare una realtà orribile. Proprio come i cosiddetti “centri di assistenza” – i quattro siti del GHF che dovrebbero servire quasi 2 milioni di persone – dove, invece, oltre 800 palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano semplicemente di procurarsi del cibo.
Sono passati quasi 22 mesi e l’accordo per il cessate il fuoco è ancora una volta in stallo, il governo israeliano continua a cambiare gli obiettivi, prolungando le operazioni militari che servono sia all’agenda messianica dei coloni sia alla sopravvivenza politica di Netanyahu.
Così, mentre il nostro governo continua ad usare un linguaggio ambiguo e a negare la realtà di cui siamo spettatori ogni giorno, le testimonianze dei soldati hanno svolto un ruolo cruciale nell’esporre ciò che sta realmente accadendo sul campo.
Abbiamo visto un reportage dopo l’altro, un video dopo l’altro, che mostrano i palestinesi che vengono bersagliati da colpi d’arma da fuoco mentre cercano di procurarsi il cibo per sé e per le loro famiglie. Qualche settimana fa, Haaretz ha rivelato che i soldati avevano ricevuto istruzioni dai loro comandanti di sparare sulla folla vicino ai luoghi di distribuzione del GHF per allontanarla, anche quando era chiaro che non rappresentavano una minaccia. Ecco come i soldati hanno descritto le scene:
“È un campo di sterminio (…) dove ero di stanza, ogni giorno venivano uccise da una a cinque persone. Vengono trattati come una forza ostile – niente misure di controllo della folla, niente gas lacrimogeni – solo fuoco aperto con tutto ciò che si può immaginare: mitragliatrici pesanti, lanciagranate, mortai. Poi, una volta aperto il centro, gli spari cessano e sanno che possono avvicinarsi. La nostra forma di comunicazione sono gli spari”.
“Tecnicamente, dovrebbe essere un fuoco di avvertimento – per spingere la gente indietro o per impedirle di avanzare (…) ma ultimamente, sparare granate è diventata una pratica standard. Ogni volta che spariamo, ci sono vittime e morti, e quando qualcuno chiede perché è necessaria una granata, non c’è mai una valida risposta. Anzi, a volte il solo fatto di porre la domanda infastidisce i comandanti”.
“Quando abbiamo chiesto perché avessero aperto il fuoco, ci è stato risposto che era un ordine dall’alto e che i civili costituivano una minaccia per le truppe. Posso dire con certezza che le persone non erano vicine alle forze armate e non le mettevano in pericolo. È stato inutile: sono stati uccisi e basta, per niente. Questa cosa chiamata uccidere persone innocenti è stata normalizzata. Ci è stato costantemente detto che a Gaza non ci sono non combattenti, e a quanto pare questo messaggio è stato recepito dalle truppe”.
“Si parla di usare l’artiglieria su un incrocio pieno di civili come se fosse normale (…) Un’intera conversazione sul fatto che sia giusto o sbagliato usare l’artiglieria, senza neppure chiedersi perché quell’arma fosse necessaria in primo luogo. Ciò che preoccupa tutti è se questo possa danneggiare la nostra legittimità di continuare a operare a Gaza. L’aspetto morale è praticamente inesistente. Nessuno si ferma a chiedersi perché decine di civili in cerca di cibo vengano uccisi ogni giorno”.
Queste testimonianze si aggiungono ai resoconti pubblicati la scorsa settimana dalla rivista +972 sull’uso dei droni da parte dell’IDF per far rispettare gli ordini di espulsione da Gaza. I soldati hanno raccontato di aver deliberatamente preso di mira i civili in modo che gli altri imparassero a non tornare. Ecco alcune delle testimonianze raccolte dai soldati, che offrono un quadro di queste regole di ingaggio permissive nella striscia:
“Ci sono stati molti episodi di lancio di granate dai droni (…), erano diretti contro militanti armati? Sicuramente no. Una volta che un comandante definisce una linea rossa immaginaria che nessuno può oltrepassare, chiunque lo faccia è destinato alla morte (…) anche solo per aver camminato per strada”.
“C’era un ragazzo che è entrato nella zona [off-limits]. Non ha fatto nulla. [Altri soldati] hanno affermato di averlo visto in piedi e parlare con delle persone. Tutto qui: hanno lanciato una granata da un drone”.
“Nella maggior parte dei casi, non c’era nulla che si potesse dire a se stessi (…) non c’era modo di completare la frase: ‘Li abbiamo uccisi perché…’”.
“Chiunque individuano, lo uccidono (…) se le persone si muovono lì intorno – è una minaccia”.
Tutte queste testimonianze confermano ciò che molti già sapevano ascoltando i palestinesi e gli attivisti sul territorio. E poiché queste preziose testimonianze provengono dall’interno del sistema, rivelano che questa orribile realtà non è dovuta solo a incidenti isolati o a qualche comandante fuori controllo, ma alla politica dell’IDF e al suo sistematico disprezzo per la vita dei palestinesi.
Nel frattempo, gli assalti continuano, con i palestinesi che vengono uccisi ogni giorno in numero impressionante. Oggi gli ospedali di Gaza hanno riferito che un totale di 38 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco dell’IDF, di cui 24 mentre aspettavano gli aiuti umanitari.
Il tentativo del governo israeliano di nascondere l’orribile realtà che si sta verificando sul campo, manipolando il linguaggio e camuffando le politiche, deve essere denunciato per quello che è:
Concentrare milioni di sfollati affamati sulle rovine di una città non è creare una “città umanitaria”, così come la pulizia etnica non è “emigrazione volontaria”, le trappole mortali non sono “centri di distribuzione degli aiuti”, controllare i bisogni primari di milioni di persone non è “permettere l’ingresso degli aiuti” e migliaia di bambini morti non sono “danni collaterali”.
Gli attacchi devono cessare. Sono necessari un cessate il fuoco e un accordo sugli ostaggi. Ora.
https://www.breakingthesilence.org.il/
Breaking the Silence è un’organizzazione di soldati veterani che hanno prestato servizio nell’esercito israeliano dall’inizio della Seconda Intifada e che si sono presi la responsabilità di esporre al pubblico la realtà della vita quotidiana nei Territori Occupati. Ci sforziamo di stimolare il dibattito pubblico sul prezzo pagato per una realtà in cui giovani soldati si trovano quotidianamente di fronte a una popolazione civile e sono impegnati nel controllo della vita quotidiana di quella popolazione. Il nostro lavoro mira a porre fine all’occupazione.
https://www.breakingthesilence.org.il/about/organization
In the world’s media today, news broke that Israel has decided on “tactical pauses” to let aid into Gaza. We spread this statement by the Israeli veteran soldiers’ organisation “Breaking the silence”, which calls for a look at the actual actions of the IDF and the Israeli government, which with this decision have not changed policy and continue, even today, in the deliberate killing of Palestinians in search of something to feed themselves with. An important voice from Israel, to be made known. Center for documentation against war
Don’t listen to their words, watch their actions.Today, the IDF announced daily “humanitarian pauses” and resumed airdrops of aid into Gaza. But this isn’t a genuine shift in policy. It’s simply the latest manifestation of a twisted logic that leverages food as a means of control, not one with an actual intent to disperse aid. A deep dive into what’s happening on the ground unmasks the real agenda at play. Earlier this month, Israeli Defense Minister Israel Katz unveiled the government’s plan to forcibly concentrate Gaza’s entire population in a so-called “humanitarian city” built on the ruins of Rafah. Together, these military actions and political decisions represent two sides of the same strategy shaping Gaza’s future and realizing the Israeli right’s ultimate dream of ethnically cleansing the Palestinian population from Gaza altogether. The only people who will be allowed to leave this “humanitarian city” will do so through mechanisms set up to encourage “voluntary emigration.” Another euphemism that has made its way into mainstream discourse. The terms “humanitarian city” and “voluntary emigration” are deliberate attempts to use language to mask a horrific reality. Just like the so-called “aid centers”—the four GHF sites supposedly intended to serve nearly 2 million people—where, instead, over 800 Palestinians have been killed while simply trying to access food. We are almost 22 months in, and the ceasefire deal is once again stalling, the Israeli government keeps shifting the goalposts, prolonging the military operations which serve both the messianic settler agenda and Netanyahu’s own political survival. And so, while our government continues to rely on vague language and deny the reality we witness daily, soldiers’ testimonies have played a crucial role in exposing what is actually happening on the ground. |
We’ve seen report after report, video after video, showing Palestinians being shot at while trying to reach food for themselves and their families. A few weeks ago, Haaretz revealed that soldiers were instructed by their commanders to fire at crowds near the GHF distribution sites to drive them away, even when it was clear they posed no threat. Here’s how soldiers described the scenes:
“It’s a killing field (…) where I was stationed, between one and five people were killed every day. They’re treated like a hostile force – no crowd-control measures, no tear gas – just live fire with everything imaginable: heavy machine guns, grenade launchers, mortars. Then, once the center opens, the shooting stops, and they know they can approach. Our form of communication is gunfire.” “Technically, it’s supposed to be warning fire – either to push people back or stop them from advancing (…) but lately, firing shells has just become standard practice. Every time we fire, there are casualties and deaths, and when someone asks why a shell is necessary, there’s never a good answer. Sometimes, merely asking the question annoys the commanders.” “When we asked why they opened fire, we were told it was an order from above and that the civilians had posed a threat to the troops. I can say with certainty that the people were not close to the forces and did not endanger them. It was pointless – they were just killed, for nothing. This thing called killing innocent people – it’s been normalized. We were constantly told there are no noncombatants in Gaza, and apparently that message sank in among the troops.” “They talk about using artillery on a junction full of civilians as if it’s normal (…) An entire conversation about whether it’s right or wrong to use artillery, without even asking why that weapon was needed in the first place. What concerns everyone is whether it’ll hurt our legitimacy to keep operating in Gaza. The moral aspect is practically nonexistent. No one stops to ask why dozens of civilians looking for food are being killed every day.” |
These testimonies add to accounts published last week in +972 Magazine about the IDF’s use of drones to enforce expulsion orders across Gaza. Soldiers described deliberately targeting civilians so others would “learn” not to return. Here are some of the testimonies shared by soldiers, offering insight into these lax rules of engagement in the strip:
“There were many incidents of dropping grenades from drones (…), were they aimed at armed militants? Definitely not. Once a commander defines an imaginary red line that no one is allowed to cross, anyone who does is marked for death (…) even just for walking in the street.” “There was a boy who entered the [off-limits] zone. He didn’t do anything. [Other soldiers] claimed to have seen him standing and talking to people. That’s it — they dropped a grenade from a drone.” “In most cases, there was nothing you could tell yourself (…) there was no way to complete the sentence, ‘We killed them because…’” “Whoever they spot, they kill (…) if people are moving around there – it’s a threat.” All of these testimonies confirm what many already knew from listening to Palestinians and activists on the ground. And since these invaluable accounts come from within the system, they reveal that this horrific reality is not just the result of isolated incidents or a few commanders gone rogue, but of IDF policy and its systemic disregard for Palestinian life.
https://www.breakingthesilence.org.il/ Breaking the Silence is an organization of veteran soldiers who have served in the Israeli military since the start of the Second Intifada and have taken it upon themselves to expose the public to the reality of everyday life in the Occupied Territories. We endeavor to stimulate public debate about the price paid for a reality in which young soldiers face a civilian population on a daily basis, and are engaged in the control of that population’s everyday life. Our work aims to bring an end to the occupation. |
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